Citi prevede un “ultimo urrah” per l’oro: i prezzi potrebbero crollare del 25% entro il 2026
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L’oro ha registrato una corsa straordinaria negli ultimi anni, raggiungendo livelli vicini ai massimi storici sia in termini nominali che reali, corretti per l’inflazione. La domanda è stata sostenuta da banche centrali che accumulano riserve e investitori attratti dal metallo prezioso come bene rifugio e strumento di copertura. Tuttavia, secondo le ultime previsioni di Citi, questa fase positiva potrebbe presto volgere al termine.
Nel suo rapporto trimestrale, il team globale di analisi delle materie prime di Citi, guidato da Maximilian Layton, sostiene che la domanda abbia già raggiunto il suo picco e prevede un indebolimento significativo del prezzo dell’oro a partire dalla seconda metà del 2026. Secondo le stime, entro la fine del prossimo anno il prezzo potrebbe scendere nella fascia compresa tra 2.500 e 2.700 dollari l’oncia.
Attualmente, i future sull’oro si attestano attorno ai 3.396,40 dollari l’oncia, a solo l’1% dal massimo storico di 3.431,20 dollari. Un dato sorprendente è che lo 0,5% del PIL mondiale viene attualmente speso in oro, il livello più alto registrato negli ultimi cinquant’anni.
La crescita dei prezzi, iniziata circa due decenni fa, ha subito un’accelerazione durante la pandemia, alimentata da diversi fattori: il timore della svalutazione delle valute fiat e dell’inflazione, la diversificazione delle riserve da parte delle banche centrali, le tensioni commerciali globali e l’aumento della domanda di gioielli in mercati come Cina e India, spinta da una maggiore disponibilità economica.
Citi evidenzia inoltre che i prezzi dell’oro si sono ormai scollegati dai margini di estrazione: anche i produttori con costi più alti stanno operando con margini del 100%.
Secondo la banca, la domanda di investimento dovrebbe iniziare a diminuire tra la fine del 2025 e il 2026, con il graduale venir meno delle notizie negative che finora hanno caratterizzato il contesto di mercato. Citi prevede che il ritorno sulla scena dell’ex presidente Trump e una ripresa della crescita negli Stati Uniti, favorita anche dall’avvicinarsi delle elezioni di medio termine, possano rafforzare il sentiment degli investitori. La banca si aspetta inoltre che nuovi accordi commerciali e l’approvazione di un importante pacchetto legislativo contribuiscano a rafforzare ulteriormente questa tendenza positiva.
Una parte dell’ascesa dell’oro potrebbe essere spiegata anche dal timore di un aumento dei rendimenti obbligazionari a lungo termine negli Stati Uniti. Tuttavia, Citi esclude un’imminente reazione negativa da parte dei mercati obbligazionari e ritiene che questa dinamica sia solo temporanea, sottolineando che gran parte del disavanzo fiscale previsto sarà coperto da entrate derivanti dai dazi.
Questa visione più favorevole sui rendimenti obbligazionari porta Citi a concludere che la Federal Reserve avrà margini sufficienti per abbandonare l’attuale politica monetaria restrittiva in favore di un approccio più neutrale. Una mossa di questo tipo potrebbe stimolare il sentiment economico sia negli Stati Uniti che a livello globale, riducendo di conseguenza l’attrattiva dell’oro come bene rifugio.
Infine, secondo i calcoli del team Citi, una riduzione di 100 punti base nei tassi d’interesse potrebbe far scendere il prezzo dell’oro di circa 200 dollari l’oncia.